Il tempo sbagliato

Ogni tanto mi capita di pensarci: il modo in cui viviamo oggi mi sembra aberrante. Sempre di corsa, con urgenze che piovono da tutte le parti, lo stress sempre appollaiato sulle spalle e il tempo libero? Non pervenuto. Tentiamo di essere efficienti come macchine e ci arrabbiamo con noi stessi se siamo stanchi e poco produttivi. Viviamo con il cronometro in mano: fare tutto di fretta per riuscire a fare altro di fretta.

Al lavoro (per chi ce l’ha) corriamo senza sosta fra un’emergenza e l’altra finché un giorno non facciamo “i botti”, trovandoci al bivio fra perdere il lavoro oppure tenercelo, ma finendo dritti fra le braccia di un esaurimento nervoso. A casa spesso non va meglio, anche perché tutto questo carico è fin troppo facile portarselo appresso. Quanto sarebbe bello non dico andare lentamente, ma almeno prendersi il tempo GIUSTO?

So già cosa state pensando: “Ah, certo, come no, e dove lo trovo il tempo? Se non ci penso io, chi farà tutte queste cose? È già tanto se riesco a ritagliare cinque ore per dormire!” Conosco il problema, quando anche il riposo notturno diventa un’impresa perché i livelli di cortisolo sono alle stelle. Persino rilassarsi diventa difficile.

A volte ho cercato di trovare un rimedio, rubando piccoli momenti di “slow down”: un tè caldo al pomeriggio, cinque minuti per assaporare un caffè in silenzio invece che berlo al volo in piedi. Piccole cose per ricordare che il tempo giusto esiste e sta a noi trovarlo.

Ci preoccupiamo troppo di fare tutto e subito, ci mettiamo sulle spalle carichi di responsabilità e pensiamo di dover fare tutto da soli/e, ma fermiamoci un attimo: siamo davvero sicuri/e che tutto sia così urgente o importante e di doverci occupare personalmente di ogni cosa? Vi avviso: suona male, ma è importante dirlo: il più delle volte, se non ci fossimo noi, ci sarebbe qualcun altro.

Anni fa lavoravo in una ditta in cui mi facevo letteralmente in quattro. Non prendevo mai giorni di malattia o permessi, nemmeno quando ne avevo veramente bisogno. Sono arrivata a non fare un intervento chirurgico perché “Se prendo dei giorni di malattia, come faranno senza di me?” Spoiler: un giorno mi sono presa due settimane di pausa (obbligata, eh!) e indovinate? Il mondo è andato avanti, l’azienda pure… e io… beh… io mi sono fatta una bella riflessione sulla mia ossessione per il “se prendo un permesso come faranno?”. In seguito, me ne sono andata da quell’azienda… e (sorpresa!) senza di me non è finito il mondo (e nemmeno l’azienda). Col senno di poi: era veramente così impensabile prendermi un permesso?

La vera tragedia in tutto questo è che, facendo così, alimentiamo il sistema. Quella stessa macchina tritatutto si aspetta sempre di più da ognuno/a di noi. Se A, B e C concedono il 200%, perché tu non riesci a concedere il 201%? Insomma, ti si chiede solo uno sforzo aggiuntivo per quell’1%. Che vuoi che sia? Così si cerca di dare quel 201% ogni giorno, ma presto nessuno se ne accorge più e arriva il giorno in cui gli altri si aspettano il 300%… e ti vedono stressata magari ti criticano pure! La verità è che questo sistema che ci spinge a dare sempre di più siamo noi a tenerlo in piedi.

Che ne pensate? Ha davvero senso tutto questo, o è solo una trappola mentale?

Un uomo seduto a un tavolo con un laptop davanti a sé. Sembra stressato, con la testa appoggiata su una mano. L'atmosfera suggerisce una sensazione di ansia e sopraffazione causata dal ritmo frenetico della vita moderna.

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